MATTEO BASEGGIO: «COSTANZA ED ESPERIENZA SONO UN CAPITALE CHE IL PROFESSIONISMO DOVREBBE CONSIDERARE DI PIÙ»

By 10 Marzo 20232023

Quando ha visto Alessandro De Marchi in fuga alla Strade Bianche, Matteo Baseggio è ricordato di non essere da solo: nella storia del ciclismo italiano ci sono alcuni esempi di corridori arrivati tardi al professionismo al quale appigliarsi. Atleti che hanno prima intuito e poi accettato la loro situazione, che in gruppo hanno saputo ritagliarsi il proprio spazio e costruirsi una bella reputazione. Prima di De Marchi venne un altro Alessandro Ballan; e nei prossimi anni chissà, forse Tarozzi e Lucca.

«Io non ho mai tifato nessuno – racconta Baseggio – ma se dovessi scegliere qualche riferimento sarebbe sicuramente uno di questi nomi. Ho sempre apprezzato enormemente chi vince, perché spesso si tratta del più forte. Lo sport è così, non perdona: sono pochi quelli che emergono, ancora meno quelli che hanno le qualità per durare a lungo. Magari non sempre, ma da queste parti la meritocrazia funziona molto meglio che altrove».

Matteo Baseggio, nato il 18 giugno del 1998. Alcune vittorie e una marea di piazzamenti. Dallo scorso anno alla Trevigiani. Hai mai ricevuto offerte dal professionismo?

«No, mai. Non è un tarlo, non provo rabbia. Anzi, partecipo ad ogni corsa con la speranza di vincere e di sbloccare questa situazione. Anche Lucca, che conosco, ad un certo punto si era quasi arreso. E invece poi la Green Project gli ha offerto un contratto. L’importante, per come la vedo io, è non avere rimpianti».

Come si fa a non averne?

«Non vorrei sembrare altezzoso, chi mi conosce ha ben presente la mia umiltà, ma mi viene da rispondere: correndo come corro io. Tra gli Under 23, ad esempio, non ho mai avuto degli obiettivi precisi perché secondo me non ha molto senso: per guadagnarsi la massima categoria non si possono scegliere le gare, bisogna accumulare risultati e buone prestazioni, il più possibile. Se giungono al termine di belle corse tanto meglio, ma non andrei tanto per il sottile».

Perché non sei ancora passato professionista?

«Bella domanda. Un’idea me la sono fatta: perché non sono un vincitore seriale, partecipo a tante corse e ne centro pochi successi. E in questo ciclismo che va alla caccia del supertalento ancora adolescente, mi rendo conto che la mia situazione possa sembrare strana. Però mi piacerebbe che venissero considerati maggiormente anche i piazzamenti, perché significano costanza. Credo sia la mia caratteristica principale».

Con che ruolo ti immagini nel professionismo?

«A giugno compirò 25 anni, quindi inizio ad avere una certa esperienza. Nelle ultime stagioni mi è capitato di ricoprire qualsiasi ruolo e di svolgere qualsiasi compito, ragion per cui mi reputo abbastanza completo. Ho un certo occhio per le fughe, la resistenza non mi manca e me la cavo piuttosto bene nelle volate a ranghi ristretti. Essendo abituato a buttarmi anche in quelle di gruppo, credo di poter provare a pilotare lo sprinter principale nei finali caotici. E’ chiaro, questo sulla carta. Il livello è sicuramente altissimo, ma sarebbe curioso fare almeno un tentativo».

Insieme a Rocchetta e Zurlo sei il corridore più esperto della Trevigiani. Come vivi questa responsabilità?

«La percepisco, ma mi fa sentire importante. Certo, questo significa non poter sbagliare: bisogna dare l’esempio dalla mattina alla sera, dagli allenamenti alle gare. I più giovani della categoria hanno molte nozioni e conoscenze, ma spesso faticano a metterle in pratica. Tecnicamente sono molto più avanti di me alla loro età, io quando arrivai tra i dilettanti mi allenavo senza potenziometro, praticamente come se fossi ancora uno juniores».

Chi è stato il tuo Baseggio quando eri un giovanissimo di belle speranze?

«Al primo anno tra gli Under 23 nessuno, ho dovuto cavarmela da solo. Poi, nella seconda stagione, ho incontrato Giacomo Zilio e devo dire che mi ha insegnato parecchio. Senza dimenticare i direttori sportivi avuti: da Faresin a Caramel, da Contessa a Furlan, non ultimi quelli che ho incontrato alla Trevigiani, quindi Lampugnani, Lorenzetto e Benedet. Ma non vorrei tralasciare nessuno, quindi dico che ogni direttore sportivo avuto mi ha insegnato qualcosa».

Decine di piazzamenti in corse di ogni genere e livello. Avrai pure qualche rimpianto, no?

«No, nessuno. Non mi viene in mente nemmeno una corsa che posso aver buttato via. Posso aver commesso qualche errorino, ci mancherebbe, ma solitamente quando ho perso è perché ho trovato qualcuno più forte di me. Il momento più bello è quando si vince, in prima persona o aiutando un compagno di squadra. Quello più brutto, invece, quando la gamba non vuole saperne di girare nonostante l’impegno e i sacrifici fatti».

Sei più attaccante o calcolatore?

«Calcolatore, forse è il mio difetto principale, quello che mi viene rimproverato più spesso. Per anni ho creduto che attaccare significasse sprecare troppe energie, essendo abbastanza veloce tendevo a rimanere in gruppo. Però, allo stesso tempo, mi rendevo conto che in diverse occasioni c’era qualcuno che scappava e mi anticipava, e così mi ritrovavo a vincere la volata dei battuti. Adesso rischio di più, ho capito che si può ugualmente vincere e che anzi, magari è addirittura più semplice perché invece di cento corridori bisogna provare a batterne soltanto cinque o sei».

Prossimi appuntamenti?

«Sabato e domenica a San Pietro in Gu, il giorno dopo la Milano-Sanremo correremo invece la Popolarissima. Lo scorso anno ho fatto terzo, per noi della Trevigiani è la gara di casa e dobbiamo puntare alla vittoria. Un domani sogno di partecipare alle classiche del Nord, in particolar modo a Fiandre e Roubaix. Mi affascinano da morire e il fisico mi supporterebbe: sono alto 1,84 e peso 71 chili. I duelli tra Van der Poel e Van Aert lassù sono quelli che preferisco».

Ti è mai capitato di correre con loro? Qualche gara tra i professionisti l’hai fatta.

«No, mai. Tra i due preferisco Van der Poel, se devo essere sincero. In compenso, al Giro dell’Emilia del 2021 c’era una lista partenti da Tour de France: Vlasov, Pinot, Uran, Evenepoel, Roglic, Pogacar. Ma non ho potuto approfittarne per vederli da vicino, ero in fuga anche quel giorno…”

Intevista sul sito quibicisport di Davide Bernardini – Nella foto Matteo Baseggio